Altari e Cappelle

Il presbiterio Illuminato da alte finestre intervallate da paraste, ha un catino absidale completamente affrescato a spicchi che convergono verso l’immagine della Vergine Assunta, alla quale la chiesa è dedicata. In basso, entro tondi, sono dipinti a monocromo i quattro evangelisti; più sopra coppie di piccoli angeli reggono i simboli della Passione, evidente allusione alla reliquia qui conservata. La grandiosa incorniciatura barocca in stucchi dorati, con angeli sulle nubi e le figure della Religione (con la tiara pontificia) e della Patria (con lo stemma della città), enfatizza la nicchia che custodisce il reliquiario secentesco in argento e cristalli con le Sante Spine della corona di Cristo. Un antico meccanismo consente di far discendere, nel giorno di Pentecoste, la preziosa reliquia sopra una nuvola dorata, quindi di farla risalire, con una solenne cerimonia, il giorno successivo dopo la processione. L’altare maggiore, in marmi pregiati, riutilizza i materiali della mensa realizzata nel Settecento per l’altare dell’arca di sant’Agostino (qui pervenuto, insieme all’arca, da San Pietro in Ciel d’Oro, in seguito alla soppressione degli Agostiniani). Progettato dall’architetto Giovan Battista Chiappa nel 1835, l’altare venne consacrato il 26 novembre 1836 dal vescovo Luigi Tosi (M. Forni, Disiecta membra, 2013, pp. 419-422). Il coro, in noce, proviene (1884) dalla chiesa di Santa Maria Incoronata di Canepanova: i dossali e i braccioli in forma di leoni risalgono al 1554, il resto al XVIII secolo.

 

Cappella del fonte battesimale

La vasca ottagonale in marmo bianco a doppio palco si collega al modello delle fontane rinascimentali.

 

Cappella di Sant’Agnese 

La pala, dipinta nella prima metà del Novecento dal pittore milanese Enrico Volonterio, rappresenta la giovane sant’Agnese che solleva sopra il suo capo l’agnello che la simboleggia. Il paliotto dell’altare si riferisce a sant’Epifanio (vescovo di Pavia ai tempi della caduta dell’impero romano), a sua sorella Onorata e a Luminosa (fondatrici, con Speciosa e Liberata, di una delle più antiche comunità monastiche).

 

Cappella dell’Immacolata

La pala con l’Immacolata è stata dipinta a Roma da Federico Faruffini (1833-1869) su incarico del canonico Giovanni Battista Bosisio nel 1857, solo pochi anni dopo la proclamazione del dogma  (1854). Ai piedi della Vergine si distende il profilo della città di Pavia. Sull’architrave si legge: «Fecit mihi magna qui potens est». Ai lati dell’altare si dispongono le statue raffiguranti i genitori della Vergine: Gioacchino e Anna. L’altare è analogo a quello della cappella di fronte, dedicata a Giovanni Battista. Qui sono venerate le spoglie del vescovo pavese san Damiano (VII sec.).

 

Cappella di San Pietro

La cappella è legata alla figura del cardinale Pietro Maffi (Corteolona 1858-Pisa 1931) che fu rettore del Seminario di Pavia e poi arcivescovo di Pisa dal 1904 al 1931. Due lapidi simmetriche presentano il suo stemma (a sinistra) e il suo ritratto (a destra); nei capitelli delle paraste sono raffigurati i simboli delle scienze di cui Maffi era cultore, gli elementi presenti nel suo stemma (stella, pesce, colomba, áncora) e quelli riferiti alla dignità ecclesiastica (pallio, croce astile e pastorale). Lo stemma in marmi policromi è ripetuto sul plinto che sorregge la mensa.

 

Cappella della Madonna di Caravaggio

Sopra l’altare, disegnato nel 1933 da Emilio Carlo Aschieri (1894-1968), sono collocate due statue in marmo realizzate dallo scultore pavese Ercole Oliviero Rinaldi (1867-1943). Vi si rappresenta  un fatto legato alla storia e alla tradizione del territorio lombardo: la giovane contadina Gioannetta de Vachi è inginocchiata ai piedi della Vergine che le appare il 26 maggio 1432, nella campagna di Caravaggio, un borgo agricolo in provincia di Bergamo. L’episodio trova riscontro nella Lombardia viscontea, suscitando un’intensa devozione e un costante afflusso di pellegrini.

 

Cappella del Suffragio

Nell’abside del transetto sinistro è collocato l’altare della Confraternita del Suffragio, eseguito da Tommaso Orsolino nel 1644-46 e rimaneggiato nel 1652 con l’aggiunta di due colonne e altri  elementi di marmi pregiati, come la «pietra machiata rossa di Verona» e la «pietra nera et gialla di quelle di Porto Venere» (Baini, Tre altari, 1994). Colonne nere a fusto liscio e colonne con angeli-cariatide in legno inquadrano il dossale marmoreo raffigurante al centro l’Assunta che, salendo al cielo, intercede per le anime del purgatorio, raffigurate tra le fiamme sia nel riquadro sottostante, sia nei plinti su cui poggiano le colonne e in quelli che affiancano la mensa. Sopra la trabeazione, decorata con piccoli teschi e tibie incrociate, entro il timpano arrotondato, in un medaglione a forma di scudo, sono raffigurate le anime ormai salvate, portate dagli angeli in volo verso il Padre Eterno che le attende a braccia aperte.

 

 

Cappella di Santa Lucia

Il piccolo altare in marmo con cimasa dorata è di gusto tardo ottocentesco. Nella nicchia, la statua policroma raffigura santa Lucia con il pugnale che le trapassa il collo e le fiamme ai piedi che alludono al suo martirio, come si legge nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine. Il paliotto protegge l’urna con le ossa della beata Sibillina Biscossi, terziaria domenicana pavese, morta nel 1367 in fama di santità (i resti provengono dalla cappella Bottigella in San Tommaso).

 

Cappella Sfondrati

Voluta per testamento da Giovanni Battista Sfondrati, che fu vescovo di Pavia dal 1639 al 1647 e nel 1645 istituì la processione delle Sante Spine (Magani, Cronotassi 1894, p. 937), la cappella era dedicata a Giovanni Battista, il santo di cui il vescovo portava il nome. Nella pala (dipinta da Carlo Antonio Sacchi) il Battista è collocato in posizione privilegiata, a fianco della Madonna col Bambino. Ci sono anche san Francesco e sant’Antonio; più in basso, in primo piano, sono disposti Stefano, il santo titolare dell’antica cattedrale, e Siro il protovescovo di Pavia. L’importante incorniciatura architettonica si avvale di colonne binate in marmo rosato posate su plinti con stemma Sfondrati. Al centro della cimasa è collocata la statua di san Giovanni Battista. Lo scudo, inquartato, è attraversato da sinistra a destra da una sbarra a doppio merlato contornata da quattro stelle a sei punte; nel secondo e terzo pianta frondosa con nastro svolazzante. Gli elementi araldici (linea a doppio merlato e piante frondose con nastro) sono ripetuti nella decorazione dipinta nel catino absidale. È opera di Tommaso Orsolino anche il busto di Sfondrati, accompagnato dalla lunga epigrafe, sulla parasta alla destra della cappella.  

 

Cappella già dell’Immacolata

La legenda di una planimetria settecentesca recita: «antica cappella dell’Immacolata che si convertì in quella del Rosario nel 1769». Ma nel 1828 anche la Madonna del Rosario venne trasferita nella parte opposta della chiesa (p. 28). La decorazione dipinta del catino absidale si rivela coerente con l’intitolazione alla Vergine; nelle nervature che separano gli spicchi sono dipinti i simboli mariani: il pozzo, la palma, il cipresso, il tempio e la torre. Nel 1962 veniva collocata qui una parte delle canne dell’organo della ditta Balbiani Vegezzi Bossi di Milano. L’altra parte trovava posto di fronte, nella cappella di Armentario e Litifredo, ma nel 2003 l’organo veniva rimosso e venduto al duomo di Voghera.

 

Accesso alla sacrestia dei Cappellani Mansionari

Il bel portale rinascimentale è sormontato da un’iscrizione in latino. Sulla destra una lunga epigrafe ricorda Severino Boezio, le cui reliquie furono qui ospitate durante il secolo XIX, in corrispondenza con il periodo della chiusura di San Pietro in Ciel d’Oro.

 

Cappella del Crocefisso

Inizialmente dedicata alla Madonna del Rosario, ospita ora l’altare del Crocefisso, progettato nel 1768 da Lorenzo Cassani. Un’imponente incorniciatura in marmi policromi contiene un dipinto che funge da fondale per il crocefisso ligneo. Nel catino absidale erano affrescati angeli reggenti i simboli della Passione (corona di spine, calice, martello e tenaglia), rimossi durante l’ultimo restauro per recuperare la decorazione sottostante. Gli strumenti della Passione decorano anche il piccolo cancello in ferro battuto che chiude la cappella.    

 

Cappella di Sant’Alessandro Sauli

La cappella, voluta a partire dal 1744 dai fratelli Pio e Angelo Bellingeri, è dedicata a Alessandro Sauli (1534-1592), vescovo di Pavia alla fine del Cinquecento, beatificato da Benedetto XIV nel 1742. Nel medaglione in bronzo della mensa è raffigurato giovanissimo, con una grande croce mentre predica a Milano, in Piazza dei Mercanti, il 17 maggio 1551. Sull’altare, l’urna lapidea, chiusa anteriormente da un cristallo, consente di vedere le spoglie del Santo che vi sono riposte. Nel grande ovale soprastante, sorretto dagli angeli, La gloria di sant’Alessandro è opera del pittore milanese Federico Ferrari. Ai lati i due episodi della vita del Santo vescovo sono eseguiti dal pittore pavese Francesco Barbieri. Nel catino absidale, illuminato dalla luce naturale che piove dalla lanterna, i piccoli angeli in volo sulle nubi, tra raggi dorati, sono realizzati a stucco in rilievo da Elia Vincenzo Buzzi (Bartoli, Notizia, II, 1777, p. 14). In alto, l’iscrizione «Labia justi erudiunt multos» (Proverbi X, 21) allude alle doti del Santo, docente e predicatore.

 

Accesso alla sacrestia del Capitolo

Sopra il portale rinascimentale una breve iscrizione latina indica la destinazione del locale: «Haec sacris rebus sacrisq. / dicata ministris / coella profane pio / limine siste pedem» (= Questo luogo è riservato alle cose sacre e ai sacri ministri. Fermati o profano davanti a questa veneranda soglia). Sulla sinistra è murata l’epigrafe funebre (cfr. p. 37 fig. 9) del vescovo pavese Alessandro Sauli, voluta dai suoi confratelli Barnabiti del Collegio pavese di Santa Maria Incoronata di Canepanova, dove il Santo abitò durante gli anni del suo insegnamento pavese (cfr. Nel terzo centenario della morte del B.A. Sauli, Pavia 1892).

 

Cappella dei santi vescovi Armentario e Litifredo II

Armentario, vescovo di Pavia dal 710 al 722, era venerato nella cripta. Litifredo II, vescovo dal 943 al 971, venne sepolto accanto ad Armentario. Nel 1636 vennero entrambi trasportati nella cappella fatta edificare dal vescovo Fabrizio Landriani, come è testimoniato dall’iscrizione: «Sotto l’altare di questa cappella / dedicata ai santi Vescovi Pavesi / Armentario e Litifredo II / riposano insieme le loro ossa / da una sotterranea cappelletta / dell’antico duomo qui trasportate / il dì 23 aprile 1626 e debitamente / riconosciute il dì 16 luglio 1867». L’altare è stato poi trasferito nel lato occidentale del transetto destro. Nel catino sono dipinte le Virtù Teologali.

 

Cappella di San Crispino I

Nell’altare, il paliotto reca le insegne episcopali riferite a Crispino I, vescovo di Pavia già nel 446 (fino al 466), cui gli storici riconoscono il ruolo svolto a «benefitio e ornamento della Città […] la quale […] gli era carissima»; provvide infatti a far selciare le strade, a far costruire gli argini per contrastare le piene del fiume Ticino e il ponte, che infatti è rappresentato sullo sfondo nella pala d’altare. Un terreno, che era causa di discordia tra due fratelli, fu da lui acquistato e donato al comune di Pavia, e da allora prese in nome di «prato della pace». Sepolto in cattedrale, operò numerosi miracoli (Breventano, Istoria, Pavia 1570, p. 24r e v).

 

Cappella della Madonna del Rosario

La cappella era dedicata alla Passione di Cristo, come è confermato dall’apparato decorativo. Nell’incorniciatura architettonica in legno dorato angeli cariatidi e colonne tortili sostengono una cimasa le cui volute inquadrano un medaglione centrale contenente il simbolo cristologico del pellicano (che dà il sangue per i propri figli). Nella parte inferiore della cornice sono scolpiti i tre chiodi, in riferimento alla crocifissione. Altri simboli analoghi (la scala, la croce, il telo della Veronica, la lancia) sono retti dagli angeli dipinti nel catino absidale. In origine la cappella ospitava il dipinto con il «Signor morto in grembo alla madre, con la Maddalena, e i fedeli discepoli […] opera di Carlo Sacchi», descritto da Bartoli nel 1777. Nel 1827 è stato rimosso per lasciare spazio alla tavola della Madonna del Rosario. Questa, dipinta da Bernardino Gatti, il Soiaro, nel 1530-31, rappresenta la Madonna e il Bambino con san Domenico e sant’Alessandro. Come richiesto per le Confraternite del Rosario, a contorno del dipinto si dispongono gli episodi riferiti ai misteri: quattordici a cornice (da leggersi in senso antiorario) e il quindicesimo a coronamento. La pala è stata restaurata nel 2013 a cura della Società per la Conservazione dei    

Ingresso “del Presepe”

La cappella contiene la scala dell’ingresso laterale meridionale dalla piazza Cavagneria. Accanto alla porta, un ampio vano racchiude un presepe settecentesco con grandi figure in terracotta policroma (che rimane nascosto durante l’anno e viene aperto nei mesi di dicembre e gennaio). In alto, il dipinto di Bernardino Ciceri (1728) con l’Immacolata, coronata da dodici stelle, corrisponde, anche per l’uso dei colori (abito rosso e mantello blu), all’iconografia antica, e affonda le radici nel passo dell’Apocalisse che racconta la visione della Donna che sconfigge il drago. Potrebbe trattarsi del dipinto rimosso dalla cappella (cfr. p. 22, 11) che nel 1769 veniva destinata ad ospitare una diversa devozione. Cappella del Presepe Il dipinto con la Deposizione di Cristo (olio su tela di Carlo Sacchi, 1669) che si trovava nella cappella della Passione, ora del Rosario (Pavia, Palazzo Vescovile)

 

Cappella di San Siro

L’altare in marmo e alabastro, realizzato da Tommaso Orsolino tra il 1645 e il 1650 per la cripta, è stato trasferito nella chiesa nel 1900 (cfr. p. 14) ma ha trovato la collocazione definitiva dopo la costruzione del transetto destro (1933). Sulla fronte del dossale è rappresentata la Vergine con il Bambino che consegna a Siro le chiavi della città, mentre gli angeli reggono i suoi simboli (croce astile, libro dei Vangeli, cesto con pani e pesci). Sul lato opposto, quasi in controparte per giocare con le trasparenze dell’alabastro, san Siro regge sulle braccia la città per affidarla alla Vergine. La mensa marmorea presenta sul davanti il miracolo evangelico della Moltiplicazione dei pani e dei pesci , a far memoria della leggenda, cronologicamente impossibile, ma carica di suggestione, che identifica Siro con il fanciullo che fornì a Cristo i pani e i pesci per il miracolo. Ai lati, entro nicchie, le figure di due discepoli di Siro: Marziano e Maternino, che sarebbero diventati rispettivamente i primi vescovi di Tortona e di Treviri. Sui fianchi altri episodi della vita del santo a cominciare da san Pietro che consacra Siro (fig. 74). Sul retro due lunghe iscrizioni si riferiscono alle reliquie di altri vescovi santi pavesi (Damiano, Litifredo, Rodobaldo, Fulco) qui conservate. I resti di Siro, rivestito dei paramenti episcopali, sono collocati in un’urna di cristallo e metallo dorato tempestato di pietre, eseguita nel 1879 da Gerolamo Moneta su disegno di Biagio Grondona (Mulas, Monsignor Agostino Riboldi, 1995, pp. 308-309).

 

Cappella di San Riccardo Pampuri

Il dipinto che raffigura il santo medico pavese è opera del pittore Dal Forno ed è datato 1982. Nato a Trivolzio nel 1897, Erminio Filippo Pampuri si laurea in Medicina a Pavia nel 1921 e dedica la propria vita agli ammalati. La sua vocazione trova compimento con l’entrata nell’Ordine dei Fatebenefratelli (1927), dove assume il nome di Riccardo. Muore nel 1930 e nel 1989 è proclamato Santo. Il bell’altare in legno dorato con la figura dell’Assunta, pervenuto alla cattedrale nella seconda metà del Novecento durante l’episcopato di Giovanni Volta, fu utilizzato per qualche tempo nel presbiterio.

 

Cappella di Tutti i Santi

L’altare proviene dalla cappella voluta nel Seicento dal vescovo Landriani per onorare i santi vescovi Armentario e Litifredo L’incorniciatura, in marmi rosati con paraste profilate di nero è coronata da un cartiglio sul quale si intravvede l’iscrizione «Omnium Sanctorum». La tela secentesca, molto danneggiata, rappresenta la Trinità e le figure di due santi vescovi, circondati da una moltitudine di santi. In basso si vede il profilo della città di Pavia sopra la quale è dipinta con buona evidenza la colomba della leggenda della fondazione con il nastro su cui si legge «Hic est nidus nidorum, vhe vhe». Il paliotto racchiude le reliquie dei due vescovi Armentario e Litifredo II.

 

Cappella di San Barnaba

L’altare in marmi policromi è stato alzato (evidentemente per adattarlo alle dimensioni della cappella) con una fascia intermedia ben riconoscibile. Le dimensioni della cornice e il riquadro vuoto nella parte superiore fanno ritenere che questo fosse l’altare che conteneva, nel Settecento, la pala con la Madonna del Rosario. La pala con La sacra Famiglia e san Barnaba è attribuita al Maestro delle Storie di Sant’Agnese (prima metà del XVI secolo) e proviene dalla cappella Berzio della chiesa di San Marino (cfr. Giordano, Un’aggiunta a Bernardino de’ Rossi: la cappella Berzio, in “Artes” 1981, p. 127).

 

Cappella di San Giovanni Battista

Il dipinto con San Giovanni Battista nel deserto (1865), del pittore pavese Paolo Barbotti (1821-1867), è affiancato dalle statue raffiguranti i suoi genitori: Elisabetta e Zaccaria. L’altare ripete l’impostazione di quello dedicato all’Immacolata (cfr. p. 16), collocato in posizione simmetrica nella navata opposta. Nella trabeazione dell’incorniciatura lapidea ottocentesca si leggono le parole del Vangelo «Ioannes est nomen eius». Sotto la mensa si conserva il corpo di sant’Invenzio, terzo vescovo di Pavia, qui traslato dalla soppressa (e poi demolita) chiesa che portava il suo nome.  

 

Cappella del Sacro Cuore Il culto del Sacro Cuore, introdotto da Maria Margherita Alacoque, ha diffusione soprattutto tra XIX e XX secolo. L’altare, in marmo bianco, realizzato nel 1924 su progetto di Ottorino Modesti (fig. 57), ospita il dipinto del pittore milanese Enrico Volonterio. Sul paliotto dorato campeggia il cuore fiammeggiante circondato dalla corona di spine. I tre spicchi del catino absidale sono decorati da Edoardo Volonterio (figlio di Enrico) con sottili candelabre, dipinte su fondo porpora, che reggono l’iscrizione «Cor Jesu / Fons totius / Consolationis ».

 

Cappella della Sacra Famiglia L’elegante altare settecentesco è più antico della cappella che lo ospita. Realizzato in marmi policromi con profilature nere, incornicia il dipinto con La Sacra Famiglia, opera del pittore bergamasco Giuseppe Carsana (1887) che non si discosta dall’iconografia tradizionale. Il pavimento, di piastrelle di cemento al disegno, è novecentesco. Cappella del Sacro Cuore 59. Altare della Sacra Famiglia